Già oggi e domani a Torino il neo amministrato delegato di Fca, Mike Manley, dovrà guidare i lavori del Gec, il Group Executive Council, il massimo organismo decisionale e strategico di Fiat Chrysler Automobiles. Si riunisce periodicamente e i top manager delle diverse realtà del gruppo fanno il punto della situazione sotto ogni profilo. È la prima volta senza Marchionne. Il debutto con la comunità finanziaria per Manley in qualità di ad di Fca è, invece, in programma mercoledì quando verranno approvati i conti semestrali a cui seguirà la tradizionale call conference, a cui partecipano di consuetudine l’ad e il cfo, il chief financial officer, ossia il responsabile finanziario.
Ieri John Elkann ha scritto ai 250 mila dipendenti (dei quali 55 mila in Italia) di Fca invitandoli a fare quadrato attorno al nuovo ad. «Sono certo che tutti voi fornirete il massimo supporto a Mike, lavorando con lui e con il team di leadership al raggiungimento degli obiettivi del piano industriale 2018-2022 con lo stesso impegno e la stessa integrità che ci hanno guidato finora». Non sarà una sfida semplice quella che dovrà affrontare Manley, anche se l’uomo, da nove anni al brand Jeep, ha saputo conquistare rispetto e considerazione nel mondo molto autoreferenziale dell’automotive. I numeri parlano da soli: da 300 mila a 1,4 milioni di auto vendute in dieci anni. Con l’obiettivo di crescere ancora. Fino ai 5 milioni previsti dal piano al 2022. Inglese di Edenbridge, 54 anni lo scorso 6 marzo, una laurea in ingegneria alla Southbank University di Londra e un master in business, il successore di Marchionne e artefice del miracolo Jeep proprio sul brand Usa scommette insieme al suo presidente Elkann. La nuova coppia dell’automotive punta forte con un piano, quello delineato da Marchionne, che prevede l’uscita di dieci nuovi modelli entro il 2022. «Consolideremo il marchio per resistere alla concorrenza. Nei prossimi cinque anni entreremo in tre nuovi segmenti: quello dei piccoli uv (utility vehicles), dei pick-up e dei grandi suv», ha spiegato lo scorso primo giugno a Balocco il manager britannico, che dall’ottobre 2015 guida anche Ram. «Anni di gloria ci aspettano», aveva detto Manley all’investor day. Proprio lui aveva fatto capire che l’inedita piccola Jeep, una vettura delle dimensioni della Panda, sarebbe stata costruita in Italia.
Marchionne a giugno aveva garantito che tutti gli stabilimenti del Belpaese avrebbero mantenuto lavoro e occupati. Concentrando nella Penisola le produzioni Premium del made in Italy: Maserati e Alfa Romeo e parte della famiglia 500. Manley dovrà poi accelerare sull’innovazione, soprattutto sulle motorizzazioni ibride ed elettriche sulle quali finora non si è investito molto, anche per mancanza di risorse adeguate. Ma ora Fca guadagna e non ha più debiti. Il piano che lascia in eredità il manager italo canadese prevede investimenti per 9 miliardi in cinque anni sull’elettrificazione. Non è moltissimo se si guarda la concorrenza, ma è un buon punto di partenza.
Del resto Manley potrà sempre contare sull’eredità di Marchionne: l’insegnamento a guardare sempre a nuovi traguardi. «Il miglioramento continuo è una parte fondamentale della nostra cultura», aveva detto il manager di origine abruzzese a Balocco. E aveva citato anche Ernest Hemingway: «Non c’è nulla di nobile nell’essere superiore a qualcun altro, la vera nobiltà è essere superiore a chi eravamo ieri». Parole, aveva spiegato, che rispecchiano il modo del mondo Fca di essere diversi. «Il miglioramento continuo è parte fondamentale della nostra cultura. Non vivremo mai lo stesso giorno due volte, perché sappiamo che è sempre possibile migliorare qualcosa. Non ci adageremo mai sugli allori dei risultati raggiunti perché l’unico approccio che conosciamo è quello di guardare sempre avanti, per raggiungere traguardi nuovi e più alti. Il nostro obiettivo ultimo, il vero traguardo, è quello che dobbiamo ancora raggiungere. Un modo di essere, questo, profondamente radicato nella nostra organizzazione ed è ciò che la rende capace di affrontare i cambiamenti del mercato. È quello che fa di Fca un gruppo speciale e credo sia anche l’elemento che ci garantisce la capacità di raggiungere i nostri obiettivi, ogni volta». Poi aveva chiuso con tono, ahinoi, profetico: «Questa è l’eredità che possiamo essere orgogliosi di lasciare a chi verrà dopo di noi».
Marchionne ed Elkann, nonostante qualche divergenza sempre rimasta nei limiti di una normale dialettica fra manager e azionista, hanno sempre testardamente perseguito il disegno di una Fca globale e integrata in cui si fondono la cultura americana e quella europea, senza dimenticare la sponda brasiliana. La prematura uscita di scena di Marchionne potrebbe aprire scenari inediti? Le recentissime uscite pubbliche di Elkann sembrano indicare una strada nel solco della continuità. Ma non si può ignorare il rischio rappresentato dalla furia distruttrice della guerra dei dazi che potrebbe sparigliare tutto. E allora anche lo spezzatino considerato assolutamente indigesto da Marchionne potrebbe finire per essere preso in considerazione. Dando spazio a chi vedrebbe un accasamento «americano» per Jeep e Ram, ossia un matrimonio con Gm o Ford che tanto farebbe la felicità di Trump. Mentre Alfa, Maserati e 500 potrebbero finire con un matrimonio tedesco (Bmw, Mercedes o Volkswagen). In entrambi i casi con Exor come partner finanziario.
Oppure il ramo Made in Italy potrebbe confluire in un polo del lusso accanto a Ferrari, sotto il cappello della finanziaria degli Agnelli. Ma qui siamo veramente in un futuribile per ora imperscrutabile. Il futuro prossimo si chiama Manley e andrà declinato secondo la strada tracciata da Marchionne.
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