La realtà industriale e la complessità logistica del made in Italy stanno sfatando molti falsi miti. Passo dopo passo l'Italia sta tornando a dotarsi di fabbriche in grado di sfidare la globalizzazione e di creare molti posti di lavoro come è successo l’anno scorso alla Maserati di Grugliasco (passata da 1.100 a 2.500 lavoratori) e come in queste settimane si vede alla Fiat di Melfi, in Basilicata, dove sono scattate circa 1.900 assunzioni.
La novità meno nota è che assieme alle fabbriche sta rinascendo una rete logistica di primordine anch’essa in grado di creare occupazione, spesso di ottima qualità. La filiera automobilistica, infatti, ha il pregio di produrre un alto valore aggiunto a cascata poiché si articola su un fitto reticolo di nodi di interscambio, treni-bisarca, maxi-navi transoceaniche, parcheggi attrezzati, porti con hub specializzati. A sorpresa il porto di Civitavecchia sta diventando il nuovo trampolino di lancio nel mondo dell’auto “made in Italy”.
Qui, da qualche settimana, ogni giorno arrivano due lunghi treni carichi ognuno di 208 fra Jeep Renegade e Fiat 500X. Destinazione? Il porto americano di Baltimora e quello canadese di Halifax collegati con le navi-bisarca della Grimaldi Lines di Napoli. Un business completamente nuovo. E molto ricco. Il dato ufficiale di quante auto “made in Italy” saranno movimentate a Civitavecchia e' riservato ma una chiacchierata con i lavoratori portuali fa emergere una cifra a regime (cioè nel 2016 quando da Cassino arriveranno anche le Alfa Romeo per i clienti yankees) di 150.000 vetture annue.
Il Porto di Civitavecchia dovrebbe creare un centinaio di nuovi posti di lavoro. L’Autorità Portuale ha poi speso 5 milioni solo per costruire un maxi-parcheggio da 60.000 metri quadri che viene servito da 11 terminali ferroviari.
«Un signor parcheggio dove ogni auto è rintracciabile elettronicamente - spiega un portuale - Pochi giorni fa gli ispettori della Fiat lo hanno controllato metro per metro chiedendoci perfino di spazzare dal terreno le bricioline di bitume. Manca solo la cera sull’asfalto». Certo che a Civitavecchia la distesa di migliaia di Renegade avvolte nel cellophane protettivo bianco in attesa dell’imbarco fa impressione: si tocca con mano un aumento dell’export per miliardi di euro. Una sola, gigantesca nave-bisarca da 7.000 vetture della Grimaldi è in grado di trasportare un carico di vetture del valore di 120/140 milioni di euro.
«Abbiamo deciso di ordinare altre cinque navi con un investimento di circa 300 milioni», sottolinea Manuel Grimaldi, l’armatore napoletano. «Non posso fare numeri sull’incremento del traffico dall’Italia, ma il trasporto delle Jeep made in Italy verso l’America è solo la punta di un nuovo iceberg - assicura Grimaldi - Già ora portiamo tutte le auto made in Italy verso la Spagna e il Nord Europa. Senza considerare i motori che con le nostre navi partono dall’Italia per raggiungere la Turchia, la Serbia (via porto di Bar in Montenegro), il Messico. Ci prepariamo per le Alfa Romeo».
Grimaldi spiega che il trasporto marittimo delle auto, anche verso porti d’oltre oceano, non incide troppo sui costi del prodotto. «Mediamente siamo fra l’1 e il 3% del prezzo dell’auto - sottolinea l’armatore - E questo spiega perché ordiniamo maxi-navi da 7.000 pezzi». Nella rinascita della filiera logistica dell’automotive italiano, infine, ha un ruolo anche il treno. Trenitalia Cargo (Gruppo Fs), il vettore che collega Melfi con Civitavecchia, aggiunge la ciliegina sulla torta: grazie al treno il boom della produzione d’auto non aumenterà l’inquinamento.
Per non dimenticare che oltre a Pomigliano e Melfi, stanno ripartendo Cassino, Mirafiori, Termoli, Pratola Serra, Cento e altri stabilimenti, trainando anche le aziende italiane dell'indotto.
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