Il cambio di pilota alla guida di Ferrari spa è una scelta non di mercato in una logica di mercato. Normalmente i vertici di una società escono di scena quando i risultati industriali e finanziari vengono giudicati modesti o poco soddisfacenti dagli azionisti. È una scelta di mercato. Nel caso del Cavallino targato Luca Cordero di Montezemolo non può essere così. La Casa di Maranello si avvia a chiudere il bilancio probabilmente migliore della storia e negli ultimi anni ha prodotto utili su utili (quasi 250 milioni di euro solo nel 2013 su un fatturato di 2,3 miliardi). Ma Fiat-Chrysler, che controlla Ferrari al 90% (il 10% è di Piero Ferrari) è pronta per la quotazione a Wall Street, il 13 ottobre, con il nome di Fca. Un passo storico, un appuntamento decisivo, una piazza azionaria vastissima e difficile. E Ferrari, il marchio con più appeal al mondo, può contribuire a rafforzare quello standing di cui una “matricola” come Fca ha bisogno per convincere la platea di investitori americani.
Un cambio a Maranello, con la figura carismatica oltreoceano diSergio Marchionne, è indirettamente funzionale al listino. E questa è una logica di mercato. Senza contare che dopo lo sbarco in Borsa, Fca avrà bisogno di un rafforzamento patrimoniale. Le strade di cui si parla sono quelle dell’aumento di capitale o del bond convertibile in azioni. Ma, tra gli analisti, si sta riaffacciando l’ipotesi di uno spin-off con la quotazione anche di Ferrari che un valore stimato tra i 4 e i 6 miliardi di euro, considerando una leva non convenzionale sul margine operativo lordo (ebitda). Di qui iniziano a delinerarsi scenari, per ora solo di fantafinanza, come la creazione di un polo del lusso Ferrari-Maserati-Alfa o l’ingresso di altre Case automobilistiche nel capitale di una Ferrari “listed company”, cioè quotata in Borsa. D’altra parte c’è la chiara indicazione di Marchionne di voler portare la produzione Ferrari dalle attuali 6.500-7.000 vetture a quota 10.000. Una scelta strategica sul versante dei ricavi e della competitività, ma che, a detta di alcuni, potrebbe intaccare quel carattere di ricercatezza e di esclusività che tanto contribuisce al mito del Cavallino. Su questi scenari l’andamento della gestione sportiva della Ferrari incide, ma solo di riflesso (più si vince più la forza globale del marchio si consolida).
Non è peraltro la prima volta che la scuderia resta a secco in Formula 1 per un periodo prolungato. Lo stesso Montezemolo aveva risollevato le sorti automobilistiche del Cavallino al suo ritorno a Maranello con funzioni top manager (novembre 1991). Certo, il divorzio dopo 23 anni fa clamore, visti anche i rapporti storici e consolidati di Montezemolo con la famiglia Agnelli. Ma i patriarchi, che l’avevano anche chiamato al vertice della Fiat nel periodo più buio della storia (il 30 maggio del 2004), non ci sono più e i giovani sembrano più interessati al mercato e a sperimentare nuove opportunità di business che non alla tradizione. Come è forse giusto che sia nel 2014. E poi c’è la globalizzazione della vecchia Fiat, con più radici produttive e finanziarie nel mondo e un’impronta sempre più a stelle e strisce. Tanto che qualcuno, ironizzando, storpia l’acronimo Fca in Ferrari costruttore americano.
E Montezemolo? Dopo il mancato rinnovo delle scorse settimane nel cda Fiat è con tutta
probabilità destinato alla presidenze di Alitalia-Etihad. Non a caso proprio ieri è arrivata una sorta di investitura da parte di uno degli azionisti di peso della compagnia, l’ad di Atlantia e Autostrade per l’Italia, Giovanni Castellucci. E poi ci sono le attività di famiglia anche attraverso il fondo Charme gestito con il figlio Matteo, alcune non particolarmente brillanti, per lo meno dal punto di vista dei risultati finanziari (le partecipazioni in Grandi Navi Veloci, i treni Italo di Ntv o il cachemire di Ballantyne), altre di maggior soddisfazione per i risultati raggiunti e per le plusvalenze incassate dalla cessione totale o parziale delle quote (come Poltrona Frau o Octotelematics). Insomma, l’ex presidente di Confindustria lascerà il Cavallino, ma negli affari, a 67 anni compiuti, resta ancora un businessman “rampante”.
Fonte quattroruote.it
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