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Ferrari 2.0: vincere in pista è un passo necessario per la corsa agli U.S.A.


Ha appena vinto il Gran Premio più importante della sua carriera, quello che ha visto Fiat-Chrysler tagliare il traguardo di una fusione che completa dieci anni di lavoro. Ma adesso, invece di festeggiare ai box, Sergio Marchionne prende la guida della Ferrari e si rimette in gioco con un messaggio chiaro: «Vincere in pista fa parte del DNA della casa; lavoreremo come dannati per questo». Dunque la vittoria «in pista» è ciò che il Ceo del gruppo vuole ottenere dalla Ferrari. Perché, se non è un caso che il Cavallino sia oggi il brand più forte del mondo, l’oggetto del desiderio per il quale tycoon, principi e miliardari si mettono disciplinati in fila dal concessionario, questo avviene in buona parte per la sua reputazione sportiva. E se un Gran Premio perso o vinto non fa certo la differenza in termini di vendite, sei anni di fila senza strappare un titolo, rischiano alla lunga di appannare il marchio che si nutre anche di una lunga serie di successi. Purtroppo passati. È questo il ragionamento che sta dietro le dichiarazioni di ieri di Marchionne; è questo il principale motivo - condito da qualche frizione personale di cui anche nella conferenza stampa congiunta, seppure tra i sorrisi, si è avuta conferma e che pare adesso superata - che porta al cambio della guardia a Maranello, i cui risultati finanziari vengono invece considerati soddisfacenti. Ma l’arrivo del Ceo di Fiat-Chrysler ha come obiettivo una rivoluzione in Ferrari anche fuori dai circuiti di gara? I primi segnali non paiono indicarlo. Marchionne ha confermato la fiducia nella prima linea dell’azienda - in testa l’amministratore delegato Amedeo Felisa - ed ha indicato anche che nulla cambia nella strategia industriale di FCA illustrata ai mercati finanziari lo scorso maggio ad Auburn Hills - un grande gruppo globale da 7 milioni di auto entro il 2018 - sottolineando più volte la specificità del Cavallino e mandando in archivio i rumors più o meno fantasiosi su possibili novità che spaziavano dalla quotazione separata a una Ferrari «Made in U.S.A.». Che la Rossa sotto la nuova gestione possa diventare «americana» non è proprio un tema all’ordine del giorno; diciamo che lo spettro di un Cavallino a stelle strisce è un argomento polemico usato nelle ore passate, quando la tensione sull’asse Maranello-Torino era più alta e i colpi più bassi. Ma come è ovvio in casa Fiat-Chrysler tutti, a partire dal presidente John Elkann e dallo stesso Marchionne, hanno ben chiaro il valore aggiunto della Ferrari sta anche e soprattutto nel suo essere un marchio unico e preziosissimo, che esprime il meglio dell’italianità. Sarebbe «osceno» - Marchionne dixit - solo pensare di produrne una negli Stati Uniti, sebbene proprio gli U.S.A. siano il primo mercato di Maranello. Dunque la questione di un ipotetico sfregio all’identità nazionale di Ferrari, anche se all’interno di un gruppo che è ormai pienamente globale come FCA, si chiude prima ancora di essere aperta. Né il gioiello più prezioso del gruppo automobilistico verrà fagocitato in qualche modo dagli altri marchi. «Ferrari - ha ribadito ieri Marchionne - non può appoggiarsi al sistema Fiat-Chrylser nè per le tecnologie nè per l’accesso ai mercati». Se un travaso di competenze e tecnologie avverrà, sarà sempre mettendo Maranello a monte e il resto del gruppo sotto, in modo da raccogliere competenze e innovazione anche nei modelli che dal lusso purissimo della Rossa entrano in quel territorio - su cui il piano industriale di FCA scommette molto - del «lusso accessibile». Accade già con i motori Maserati, che sono «Made in Ferrari», non è detto che non possa accadere in futuro per la stessa Maserati o magari per i nuovi modelli Alfa Romeo ai quali dall’anno prossimo spetta uno dei compiti più difficili nella strategia di Marchionne: rompere il predominio dei concorrenti tedeschi nella fascia alta del mercato. Del resto, anche in questo caso ha ricordato il Ceo, qualche figura di Maranello è già stata precettata proprio per aiutare i marchi appena citati nell’evoluzione verso fasce sempre più alte di mercato. Insomma, il Marchionne che aggiunge alla lista dei suoi uffici a Torino, Londra ed Auburn Hills anche quello a Maranello, porterà qualche rivoluzione in Ferrari e - almeno la sua speranza è questa - sui circuiti di tutto il mondo, ma non sarà certo il nuovo passaggio a rivoluzionare l’intero assetto del piano di FCA per i prossimi cinque anni. Ma certo la chiarezza nella nuova scelta è stata premiata anche ieri dalla Borsa - il titolo va su dell’1,8% - ed è probabile che agli azionisti e al Ceo non dispiaccia presentarsi sul mercato di Wall Street dove FCA sarà quotata da metà ottobre, con tutte le stanze delle grande casa automobilistica messe in ordine. Anche con una governance che attribuisca direttamente a Marchionne onori ed oneri nella gestione del gioiello Ferrari.

Fonte lastampa.it

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