Riduzione del debito, realizzazione del piano industriale e ricerca di un partner: questi i tre dossier più rilevanti che il consiglio d'amministrazione e il management della Fiat Chrysler Automobiles dovranno affrontare fin dalla riunione del mese prossimo a Londra, dopo la formalizzazione della nascita della nuova holding e il debutto a Wall Street. I primi due nodi sono strettamente legati e dovranno essere affrontati comunque prima della (possibile ma non certa) individuazione di un compratore o di un socio forte. Il tema della ricapitalizzazione è stato più volte affrontato dallo stesso Marchionne, secondo il quale un aumento di capitale potrebbe servire ora ma non essere più necessario di qui a due anni, quando il gruppo produrrà cassa (secondo i piani) in misura significativa. Il problema è che per generare cassa, soprattutto con la parte Fiat, FCA dovrà disporre di nuovi modelli, e per averli dovrà prima o poi investire. Ecco quindi che il tema del piano industriale e quello dei fondi si intrecciano. Fiat è ora parte di un gruppo globale con Chrysler, ma non può ancora utilizzare interamente la liquidità che Chrysler produce; e in ogni caso anche i marchi americani, primo fra tutti la Jeep, hanno piani ambiziosi che dovranno essere finanziati. Non solo: fra un anno esatto Chrysler, così come General Motors e Ford, dovrà rinnovare il contratto di lavoro con la Uaw. Per il sindacato americano sarà il primo rinnovo del dopo crisi, il primo in cui potrà nuovamente usare l'arma dello sciopero; con una Chrysler in attivo non c'è dubbio che punterà a strappare concessioni salariali e il maggior volume possibile di nuovi prodotti. L'attuale situazione dei mercati finanziari sta dando una mano al Lingotto, che non a caso proprio nei giorni scorsi è tornato sul mercato obbligazionario; ma i due miliardi di euro di oneri finanziari netti l'anno sono uno svantaggio competitivo importante rispetto al grosso della concorrenza. E nella prima metà dell'anno il gruppo ha investito un po' meno che nel 2013. Qualcuno pensa che una riproposizione del cosiddetto polo del lusso, o meglio dei marchi premium, possa essere una soluzione ad entrambi i problemi: creare una società a parte, scorporandola da FCA, e chiamare il mercato a investire a fianco della Exor. Tale ipotesi è stata smentita ieri da Marchionne, che ha lasciato aperto solo uno spiraglio («toccherà al cda occuparsene»). Il fatto è che Alfa Romeo, nelle condizioni in cui è, rischierebbe di essere una palla al piede del Cavallino, sia per le perdite che genera che per gli investimenti (5 miliardi di euro tra il 2014 e il 2018) che richiederà il suo rilancio. Qualche anno fa, il miglioramento dei conti fu favorito anche dallo spostamento della Maserati (quando ancora era in rosso) sotto l'ombrello Fiat. Adesso l'azienda di Modena e Grugliasco viaggia a tutto gas, e ha un potenziale di sinergie con Ferrari maggiore rispetto all'Alfa; guardando a quest'ultima, le sinergie per Maranello potrebbero non valere lo svantaggio derivante dalla diluizione del brand. Il marchio Alfa Romeo ha sì grandi potenzialità - tutti lo ammettono, a partire dagli amici tedeschi di Marchionne - ma con le sue poco più di 70mila vetture vendute all'anno è per ora come un affascinante castello diroccato che necessita per il restauro di somme colossali; per questo non mancano consulenti e analisti che consigliano di venderlo a qualche miliardario in vena di follie. Marchionne, che pure ha più volte accarezzato l'idea in passato, ora non ne vuol sentir parlare e ha anzi messo il marchio del Biscione al centro della strategia di rilancio del gruppo in Italia. Questo è forse il punto chiave. Di tutti i dossier aperti, quello della «fabbrica Italia» è quello che più interessa all'italiano medio ma che più conta anche per il Paese: i successi globali servirebbero solo agli azionisti, se per l'Italia il saldo finale fosse in rosso. Il top manager del Lingotto ha più volte rivendicato il fatto che Fiat ha chiuso meno fabbriche dei concorrenti europei nonostante una crisi più profonda del mercato dell'auto. È vero, anche se un aiuto importante lo ha avuto dagli italiani con il finanziamento della Cassa integrazione. La strategia di ridare lavoro con modelli Maserati e Alfa Romeo, presentata a fine 2012 e confermata a maggio a Detroit, è stata giudicata positivamente da tutti gli osservatori, anche come un modo per smarcarsi da una crisi del mercato italiano che non sembra avere fine (anche i segnali di agosto sono negativi). La parte Alfa del piano resta però ancora al palo: per nessuno dei modelli c'è ancora un via libera ufficiale e l'assegnazione di uno stabilimento. Allargare la coperta dei mezzi finanziari per arrivare a coprire gli investimenti promessi: questa la prima sfida della nuova FCA.
Fonte ilsole24ore.com
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